Scoprire la Calabria lungo di Gioacchino da Fiore

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La storia della nostra città, sorta nel
cuore dell’altopiano silano, territorio di
grandissima valenza artistica, è
indissolubilmente segnata dalla
bellezza, dal pregio architettonico, dal
potente significato di spiritualità
dell’Abbazia Florense, la cui storia è a
sua volta incredibile perché anticipata,
voluta e compiuta da un uomo, un
profeta, un mistico, un asceta, un visionario, un abate rivoluzionario, il grande
Gioacchino da Fiore.

B r e v e s t o r i a d i G i o a c c h i n o d a F i o r e

Gioacchino da Fiore nato a Celico, da una famiglia nobile, si trasferì nella vicina Cosenza dove ricevette le prime nozioni di educazione scolastica. Ben presto fu mandato dal padre a lavorare, sempre a Cosenza, presso l'ufficio del Giustiziere della Calabria. A causa di contrasti insorti sul posto di lavoro, si trasferì presso i Tribunali di Cosenza. In seguito il padre riuscì a fargli ottenere un posto presso la Corte normanna a Palermo dove lavorò prima a diretto contatto con il capo della zecca, con i Notai Santoro e Pellegrino, e infine presso il Cancelliere di Palermo, l'Arcivescovo Stefano. Entrato in disaccordo anche con Stefano si allontanò definitivamente dalla Corte Reale di Palermo per compiere un viaggio in Terra Santa. Era la seconda crociata, anno 1148. In seguito, lasciata la Palestina, dopo una breve sosta in un monastero siciliano di rito greco, Gioacchino fece
ritorno in Calabria.
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V i s i o n i e R i v o l u z i o n e G i o a c h i m i t a

In Calabria accade qualcosa d’incredibile. Si narra che Gioacchino, percorrendo la strada che lo avrebbe condotto a Celico, incontrò un misterioso monaco greco il quale, seduto
su un masso sulle rive del fiume Corace, gli commentò la parabola dei talenti. In questo momento Gioacchino ebbe la sua visione e fu esattamente da questo masso che partì la
rivoluzione Gioachimita. In questi luoghi Gioacchino da Fiore scrisse le sue opere principali e fu nell’Abbazia di Santa Maria di Corazzo che “il calavrese abate Giovacchino di spirito profetico dotato”
(così come definito da Dante Alighieri nel XII Canto del Paradiso) divenne Abate, era 1177. Gioacchino da Fiore ebbe una personalità completamente fuori dai canoni dell’epoca, la
sua posizione fu assolutamente nuova e senza precedenti con idee profetiche e mistiche
desiderose di cambiamento. Gioacchino comprendeva la trinità come misura di tutte le cose, anche della storia, e a ogni persona fece corrispondere
un’epoca: al Padre il tempo dell’antico
Testamento;
• al Figlio l’epoca del Nuovo Testamento;
• allo Spirito Santo il periodo in cui l’umanità vivrà di purezza e libertà, e precisamente a partire dal 1260. Sarà questo un periodosenza conflitti e senza guerre.
Mentre, quindi, quasi tutti s’interrogavano sulla fine della storia con idee apocalittiche, prospettava un’età dell’oro rivolgendo lo sguardo a un futuro migliore e auspicabile.
Così, con il suo monachesimo rurale, Gioacchino propose una sorta di teologia della
rivoluzione. Su quest’argomento Gioacchino scrisse De vita sancti benedicti et de officio divino
secundum eius doctrinam dove rivela come le forme del monachesimo tradizionale non
erano più adatte ai tempi, era il 1186 e fu una svolta.
Dopo qualche anno dalla stesura del De vita sancti benedicti et de officio divino secundum eius
doctrinam Gioacchino abbandonò definitivamente l’Abbazia di Santa Maria di Corazzo e
l’ordine cistercense ritirandosi nell’eremo di Pietralata.
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P r o t o c e n o b i o d i J u r e V e t e r e e o r d i n e F l o r e n s e

Da Pietralata, nel 1191, Gioacchino risalì in Sila, precisamente tra il fiumi Neto e Arvo in un territorio chiamato Jure Vetere (antico fiore), qui costruì il Protocenobio di Jure Vetere assieme a una comunità di eremiti. Gioacchino battezzò questi luoghi San Giovanni, esattamente come l’apostolo evangelista
apocalittico esempio di vita contemplativa, affiancandogli uno Jure (il fiore) simbolo di amore platonico e di nuova vita. Gioacchino scelse questo luogo per edificare la sua Abbazia probabilmente perché si trattava di un sito ameno e particolarmente tranquillo,
capace di stimolare la spiritualità e praticare il monachesimo rurale.
In questi anni e in questi luoghi Gioacchino da Fiore maturò l’ordine florense riconosciuto e approvato da papa Celestino III il 24 agosto 1196, nonostante il capitolo generale cistercense avesse condannato Gioacchino come fuggitivo. Qualche anno più
tardi, nel 1215, il IV Concilio Lateranense condannerà la sua dottrina  Accadde però che nell’estate del 1214 un incendio devastò il Protocenobio di Jure Vetere con tutti gli altri edifici, ma Gioacchino non vide mai la sua Abbazia bruciare. Infatti, il
grande Gioacchino da Fiore morì nel 1202 nel monastero di San Martino di Canale a Pietrafitta e fu qui seppellito. Il suo corpo venne di seguito traslato nella chiesa dell’Abbazia Florense di San Giovanni in Fiore quando era ancora in costruzione, era il 1226. L’iscrizione sulla tomba dice: Hic Abbas Floris Caelestis Gratiae Roris.
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N a s c i t a d e l l ’ A b b a z i a F l o r e n s e

Dopo l'incendio del Protocenobio di “Iure Vetere”, i monaci florensi vennero aiutati subito da alcuni loro benefattori, tra i quali il conte Stefano di Crotone, che trovò loro una prima sistemazione nelle sue proprietà presso Cerenzia.
I monaci cominciarono subito a porsi il problema se restaurare il vecchio monastero e restare sul luogo scelto da Gioacchino o fondarne uno nuovo. La seconda scelta era quella di gran lunga privilegiata dai monaci e dall'abate Matteo, avallata dal fatto che Iure Vetere era una zona ove vivere era difficile, sferzata quasi tutto l'anno da un vento gelido e da un clima rigido, e dove durante gli inverni la temperatura scendeva costantemente sotto lo zero. Anche se a malincuore, si decise di cambiare il luogo sul quale erigere la nuova abbazia.
Al nuovo progetto venne incontro l'imperatrice Costanza di Aragona, che donò all'ordine gioachimita altri beni demaniali, per ripagare i monaci dei danni subiti con l'incendio, ed invocò l'aiuto di feudatari ed ecclesiastici affinché si potesse sopperire ai bisogni chiesti dagli stessi monaci.
Le donazioni arrivarono da più parti ed i monaci poterono finalmente dedicarsi all'impiego per la costruzione della nuova chiesa.
La prima scelta da attuare era quella del luogo sulla quale erigere il nuovo monastero.
Papa Innocenzo III, conscio del clima della Sila e delle difficoltà di viverci, consigliò ai monaci di discendere l'altopiano alla ricerca di aree più miti. I monaci comunque, non vollero abbandonare le foreste silane, decidendo così solo di discendere di qualche
centinaio di metri dal luogo di Iure Vetere
Fu così che nel 1215 venne scelto un costone roccioso con a fondo valle il fiume Neto, vicino alla confluenza con il fiume Arvo, zona in seguito volgarmente chiamata “junture”.
Il luogo apparve subito più ameno del precedente, con possibilità maggiori di potere
realizzare il monastero e potervi vivere serenamente. Il clima era di fatto più mite e a valle del costone fino a giungere presso il fiume vi erano vallate adatte sia al pascolo che alla coltivazione. Nel dare continuità al primo messaggio gioachimita, l'abate Matteo e i monaci florensi decisero di nominare la località scelta Fiore o “Fiore Nuovo”
Negli anni 2007-2008 l'ala est ed il chiostro sono stati oggetto di ricerche e scavi archeologici diretti della Soprintendenza per i Beni Archeologici della Calabria. Nel corso di tali ricerche è stata individuata l'officina vetraria dell'abbazia, operante sul finire del XII secolo, dove sono state prodotte le vetrate policrome ritrovate in tracce nel corso degli scavi.
Oggi, nelle sale dell’Abbazia, è ospitato il Centro Internazionale di Studi Gioachimiti, istituito nel dicembre del 1982 e riconosciuto dal Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo per l’attività di promozione, ricerca e diffusione del pensiero
Gioachimita nel mondo.
Il pian terreno e il primo piano dell’ala est dell’Abbazia ospitano il Museo Demologico dell’Economia, del Lavoro e della Storia Sociale Silana, inaugurato nel 1984, con annesso il Fondo fotografico Saverio Marra, autore di una documentazione fotografica di grande valore antropologico.
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S o l u z i o n i a r c h i t e t t o n i c h e M a e s t r i d ’ o p e r a

La fondazione e l’elevazione dei tratti delle strutture più antiche della chiesa abbaziale di San Giovanni in Fiore va attribuita, verosimilmente, all’abate Gioacchino, in quanto l’impianto della costruzione risale all’anno 1195. A Matteo I, successore di Gioacchino, va tuttavia il merito di aver completato le strutture riguardanti la chiesa e di aver fondato
e costruito l’attigua abitazione e tutti gli altri corpi di fabbrica che si riferiscono al complesso dell’archicenobio florense. I lavori di completamento della chiesa e di costruzione delle altre strutture del complesso abbaziale iniziarono negli anni immediatamente successivi al 1215 e proseguirono per lungo tempo, forse fino al 1234,
anno in cui l’abate Matteo I fu elevato alla Cattedra vescovile di Cerenzia, dove morì nel 1240
In alcuni documenti si tramanda che il cantiere per portare a termine la nuova Casa monastica di Fiore, fu posto sotto la guida di frate Giuliano, maestro d’arte della fabbrica, probabilmente un monaco, formatosi verosimilmente in ambito cistercense, passato, poi, ad operare nella comunità florense. Dalle stratigrafie scaturenti dalle diverse fasi
costruttive dei manufatti di fabbrica e da alcuni particolari archetipi che concorrono nell’edificio traspare, tuttavia, l’attività di due o tre maestri d’opera.
Ciò può essere scaturito, quasi certamente, alla lunga vita del cantiere florense, rimasto attivo, a fasi alterne, sotto Gioacchino, nel periodo compreso tra il 1195 e il 1202 e, più continuamente, sotto l’abbaziato di Matteo I, nel periodo compreso tra il 1215 e il 1234.
Il maestro d’opera Giuliano fu quello che portò, verosimilmente, a compimento i lavori del complesso monastico florense, ereditando e continuando l’attività degli altri maestri d’opera che avevano già impiantato la chiesa, perseguendo certamente le disposizioni iniziali dettate verosimilmente dal proto abate.
I d e a   d e l  p r o g e t t o
Il progetto del gran complesso badiale sangiovannese fu concepito certamente in ambito monastico, attraverso la costruzione di solide masse strutturali, scaturenti da tracciati proporzionati, semplici e lineari, rispondenti alle necessità della comunità monastica e alla coscienza della sua eredità spirituale. I maestri d’opera di questi cantieri possedevano una grande esperienza sorretta da particolari forze spirituali e dal desiderio di operare per la gloria di Dio.
La costruzione del Tempio è intesa, dunque, come un autentico atto di creazione, che non deve niente all’improvvisazione: l’ubicazione, la materia, la forma, tutto era selezionato in funzione di un’utilità, di un senso preciso, di un ordine prestabilito per conferire all’opera la sua potenza, nel rispetto dei dettami divini.
I costruttori di opere medievali, per formazione, non esaltavano la propria vanità, ma il
puro ideale spirituale: l’autore, l’opera e il tempo possono passare, ma lo spirito che l’ha  concepita continua a vivere in ogni tempo.
M o d e l l o  c e n o b i t i c o  c i s t e r c e n s e
Per l’abitazione del neo complesso monastico sangiovannese, i seguaci di Gioacchino adottarono il tradizionale modello cenobitico cistercense: convento e chiostro contigui alla chiesa, con in più una buona quantità di edifici posti intorno, affinché la comunità religiosa potesse far fronte ad ogni necessità: mulino, granai, forno, ospizi, infermeria, laboratori, officine, stalle, fienili, depositi, ecc.. Tutti questi edifici erano racchiusi all’interno di una cinta muraria, dotata di solito di una sola porta.
Allo stato attuale rimane visibile, quasi per intero comprensibile, solo il nucleo principale del complesso abbaziale originario, giacché le strutture di servizio sono andate in gran parte distrutte e quelle sopravvissute sono state di seguito trasformate in unità abitative. Su tutto spicca per esemplarità, per mole e per originalità tipologica la chiesa abbaziale,
fulcro principale della piccola ma pluriarticolata cittadella monastica.

I m p i a n t o s a c r a l e

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I m p i a n t o  s a c r a l e
L’impianto sacrale, perfettamente orientato lungo la direttrice est/ovest, appartiene a quella categoria di chiese a navata unica non voltata.

La chiesa abbaziale florense, un tempo caratterizzata anche da un nartece coperto con travature lignee (non più visibile), presenta:
• una navata unica, lunga, alta, stretta, coperta a capriate;
• un coro di fondo con volta a botte acuta, caratterizzato ad est da misura absidale piatta;
• due cappelle laterali chiuse, entrambe voltate con doppia crociera e dotate di absidi piatte con volte a botte spezzata;
due matronei posti sopra le cappelle con aule coperte a mezze capriate e le absidi piatte coperte con volte a botte;
• un presbiterio posto all’incrocio, un tempo coperto da una crociera quadriparita, già sormontata a sua volta dalla cosiddetta torre di crociera;
• da vani al piano seminterrato, formanti la cosiddetta cripta, oggi voltati in diverso modo, per sopravvenute modifiche attuate nel corso del tempo.
L’impostazione distributiva e la concezione volumetrica evidenziano un edificio monodirezionato, bi-assiale, di cui l’asse longitudinale risulta a sviluppo
doppio rispetto all’asse trasversale, con all’incrocio degli assi un ulteriore asse verticale.
Questa sorta di modularità assiale doveva essere perfettamente rispettata anche sull’asse verticale, posto all’incrocio, che verosimilmente aveva uno sviluppo uguale all’asse
trasversale. I volumi sono incardinati intorno ai tre assi di simmetria spaziale, che qualificano e differenziano i rapporti strutturali e funzionali della costruzione.ù
Si evidenzia, inoltre, la ferma rinuncia ad ogni decorazione superflua, motivata, verosimilmente, dal voto di povertà, e l’esternazione di un carattere architettonico essenziale e razionale.

L a f a c c i a t a p r i n c i p a l e
La facciata stretta e snella, con cuspide a capanna, mette in evidenza l’impostazione longitudinale della chiesa, annunciando la larghezza, l’altezza e il gusto
ornamentale dello spazio interno. Sui paramenti murari originari si evidenzia un ampio utilizzo di pietre locali, graniti silani e calcari di
Caccuri, nonché sporadiche e modeste quantità di materiali di recupero immesse in tempi successivi sulle strutture.
Allo stato attuale, la facciata si presenta semplice, lineare, distinta in due zone nettamente separate da una cornice/risega marcapiano, posta alla base della
finestra circolare, realizzata in conci di pietra regolari lavorati con scalpello fine, che segna la rastremazione, sul fronte esterno, della sezione
muraria del paramento superiore.

Quest’ultimo ambito murario, elevato e culminante col timpano, è connotato da una grande finestra circolare, priva di decorazione,
ornata nel circuito da un anello, a doppia rastremazione, in blocchi di pietra calcarea lavorata. Il grande anello è costruito su una
sezione più ridotta rispetto al muro: all’esterno, infatti, è a filo di muro, mentre all’interno compare in un vano quasi rettangolare, più ampio del rosone,
In posizione centrale, sulla zona inferiore della facciata è costruito, con blocchi di pietra calcarea lavorata, un volume architettonico leggermente sporgente che racchiude tutti gli elementi del portale della chiesa.
Gli interni rispecchiavano un tenore povero, sintesi della vita dei florensi, protesi a riaffermare la loro complessa pratica spirituale coltivata,
nella quotidianità, con semplicità e modestia.
Allo stato attuale i paramenti murari, privi d’intonaco e costruiti originariamente con tecnica edilizia a ricorsi sovrapposti, mostrano in ogni zona evidenti manomissioni con gravi alterazioni della
tessitura muraria originaria. Questo stato di cose deriva dalle operazioni d’ammodernamento eseguite nella seconda metà del diciottesimo secolo, quando ampi
tratti delle originarie murature medioevali furono aperti per incatenare e costruire nuove strutture con dei nuovi paramenti murari, gli scenari tipici del barocco provinciale.
Nella seconda metà del ventesimo secolo accadde, poi, che fu ordinata la demolizione di quelle sovrastrutture, ma le maestranze e i direttori tecnici non seppero rispettare
l’ordine e la tecnica esecutiva degli antichi paramenti. Di conseguenza ai vecchi guasti si aggiunsero nuovi danni, dovuti ad un’errata e discutibile ricostituzione muraria.
Questa reiterata attività di costruzione e distruzione non consente di accertare oggi, inconfutabilmente, se al posto delle otto nuove finestre, quattro per lato, aperte nella
seconda metà del Settecento, vi fossero delle monofore che in origine si aggiungevano a quelle ancora oggi visibili sul claristorio.
Durante i lavori di demolizione delle sovrastrutture barocche furono scoperte e liberate anche le quattro porte laterali dell’aula, due per lato, contrassegnate da altrettanti archi
ogivali di diversa ampiezza e fattura,
La separazione ideale tra il presbiterio e la navata oggi è segnata, in alto, dai due monconi
relitti d’imposta dell’arco trionfale ogivale, la cui struttura pensile nasceva da mutoli
peduncolati, posti in quota, concatenati nelle murature laterali.
Il pavimento del presbiterio, ora quasi livellato, un tempo doveva essere leggermente
sopra elevato di due o tre gradini rispetto al resto, con quota identica a quella del coro
dell’abside, da cui oggi è idealmente separato e schermato per la presenza dell’altare
maggiore, elevato su un basamento mediato da cinque gradini in pietra, disposti a giro su
tre lati.
L ’ e x v o l t a e t o r r e d i c r o c i e r a ( t i b u r i o )
In origine il presbiterio era coperto da una grande volta a crociera piana quadripartita,
costolonata sia nel perimetro sia sulle diagonali, chiusa in alto probabilmente con una
chiave costruita tipo foro circolare, secondo i modelli attestati in tante volte d’incrocio
delle chiese romaniche e cistercensi.
La torre di crociera, che conosciamo solo per fotografia, fu demolita nella seconda metà
del ventesimo secolo.
L ’ a l t a r e m a g g i o r e o d i S a n G i o v a n n i B a t t i s t a
Il grandioso altare ligneo, che chiude la navata della chiesa in corrispondenza dell’arcone
dell’abside, è opera di Giovan Battista Altomare da Rogliano, avendo questi lasciato incisa
con lo scalpello la data (1740) e la firma L’imponente altare ligneo della chiesa florense poggia su un basamento rialzato con
cinque gradini in pietra. I suoi elementi, riccamente intagliati, stuccati e decorati con
fondi colorati o rivestiti con foglia d’argento dorata, sono montati con la tecnica
dell’assemblaggio: i diversi pezzi concorrenti sono fissati tra loro con chiodi forgiati e/o
con incastri.
L’opera, di raffinato intaglio, superbo esempio del trionfo dell’arte barocca, è articolata in due sezioni composite: nella sezione bassa è posta la mensa; nella sezione alta spicca,
invece, la superba pala inscritta in forma ellittica che circonda la nicchia contenente la statua di San Giovanni Battista, patrono della città e del tempio.
Ai lati dell’altare sono costruiti, in continuità, due archetti di legno finemente lavorat che immettono nel coro dell’abside.
I l c o r o d e l l ’ a b s i d e
Nelle basiliche antiche il coro indicava il luogo della chiesa dove i religiosi cantavano gli Uffici divini; poi questo spazio fu ampliato e dotato di altare maggiore, divenendo, di
conseguenza, il centro della liturgia.